La giusta distanza
Sono le dieci di mattina quando entro di corsa in un cinema del centro. E per un attimo mi sembra di nuovo di tornare ai tempi dell’Università con le proiezioni dei film al mattino, nella sala cinema della Facoltà di Lettere di Siena.
Sfiorando il ritardo e tentando di non perdere per strada i troppi oggetti che dalle mani tento di distribuire nelle tasche e nella borsa stracolma, vado a sedermi, oggi come allora, troppo vicina allo schermo. Quando sono da sola succede sempre così. Se nessuno mi trattiene, la tentazione è sempre quella di appiccicarmi alle immagini, tuffarmici dentro.
Il film comincia. Proiezione per la stampa del nuovo lavoro di Mazzacurati, La giusta distanza, in uscita domani nelle sale.
Prima che spegnessero le luci ho fatto in tempo a leggere, in grassetto, sulla prima pagina della cartella, la preghiera di non svelare l’intreccio e l’epilogo della storia.
E io non ve lo svelo. Anche perché qui la storia non è tanto la trama (seppure intrisa di giallo) o l’implicita condanna del pregiudizio come simbolo dei nostri tempi (che così, da sola, parrebbe un po’ scontata) quanto il luogo in cui avvengono le vicende. Il film è tutto in quel quadrilatero di terra piatta e nebbiosa, dimenticato da qualcuno alle foci del Po’, un mondo accogliente e inospitale allo stesso tempo, sconosciuto e tuttavia familiare, fatto di personaggi resi immobili, grotteschi o comici dalla vita di provincia. Paesaggi naturali e umani si descrivono a vicenda. Concadalbero da qualche parte io l’ho già visto, ascoltato, respirato. Quei personaggi così efficacemente tratteggiati li ho incontrati, salutati e a volte dimenticati. Certo che saperlo raccontare pero’ è un altro paio di maniche.
La giusta distanza è quella che un giornalista dovrebbe riuscire a tenere tra sé stesso e i fatti. Se rimani troppo lontano rischi l’indifferenza ma se ti avvicini troppo l’emozione potrebbe abbagliarti.
Scorrono i titoli di coda quando una giornalista si alza e a voce alta butta lì una frasetta insipida che, senza usare nemmeno un aggettivo, distrugge il film. E se ne va. Peccato che sia stata metà del tempo a scrivere messaggi sul cellulare e che abbia pure risposto ad una chiamata conclusa con un “ti richiamo dopo qui c’è casino”. Già. La scena della festa in paese. Che sfiga proprio in quel punto.
Se io, come al solito, sono saltata in braccio allo schermo lei è praticamente rimasta fuori dalla porta. Chissà cosa ci avrebbe detto il consumato giornalista Bentivoglio.