Our Velocity
Sdraiata, per terra, sul pavimento dello studio. Sono le sette. I Futureheads se ne sono andati portandosi via un manager che continuava a sorridere. Gli siamo piaciuti.
Io invece ho finito ogni scintilla di energia nel mio corpo.
Vado indietro nel tempo.
Stamattina mi alzo e mi sembra di essere in una piscina piena d’acqua. Sapete quando i rumori vi arrivano attutiti e vedete tutto come se fosse immerso in una bolla? Una cosa del genere.
Salgo in macchina e lì cominciano a passarmi per la testa tutte quelle cose che in quel momento proprio sarebbe stato meglio lasciare da parte. E infatti, salto la fermata della metro e tiro dritto. Me ne accorgo un bel po’ dopo, torno indietro e comincio a correre.
Quando arrivo c’è un caos di persone in giro ed è tutto da inventare e anche in fretta. Beh, lo so fare, no? Cavoli Sara, lo sai fare e adori farlo, quindi smetti di preoccuparti e muoviti.
Ci sono due cose che faccio quando sono nervosa: uno, cambiare discorso ogni 5 secondi, due parlare in modo così veloce che il silenzio sia solo un lontano ricordo.
Ovviamente le faccio tutte e due e nel frattempo mi squilla anche il cellulare.
Evvai così.
Mi viene da ridere. Non dovrei, credo, perché forse sto combinando un disastro.
Ma che ci volete fare.
Scappo via e mi precipito in redazione. Qui per un attimo la situazione si calma, fino alle cinque meno un quarto tutto sembra scorrere via come previsto. Poi arrivano su i ragazzi di B:N. I Futureheads avrebbero dovuto essere loro ospiti ma non sono arrivati in tempo per la registrazione: sono appena atterrati a Linate … Che si fa? Li volete ospitare voi?
Sono le cinque… Rivoluzioniamo lo show in pochi minuti?
Beh, dai, proviamoci.
Tra l’altro dovevano anche suonare…
Suonare?
Si, un pezzo in versione acustica, chitarrina e voce, anzi, considerando che sono i Futureheads, chitarrina e voci.
Non ce la faremo mai, penso. Pero’ mi esce qualcos’altro. E me ne accorgo davvero quando vedo tutti che schizzano via e iniziano a correre di qua e di là.
Ok. C’è solo un briciolo di tempo per scrivere l’intervista. E intanto continuano a girarmi intorno persone con mille domande. Mollo la mia scrivania, raggiungo C. , che per fortuna li adora, confabuliamo un po’ e buttiamo giù le domande in inglese. Non faccio nemmeno in tempo a ridargli un’occhiata che loro arrivano e lo show inizia. Tutto rimane su un fogliettino un po’ scarabocchiato.
Quando penso a tutta questa giornata, adesso, mi chiedo quanto avrei potuto fare meglio, a come avrei potuto mantenere un perfetto equilibrio, a quanto altro avrei saputo tirar fuori.
Pero’ sorrido. Spesso le cose accadono così. E anche solo il fatto di non lasciarsi spaventare è già un passo avanti. Ce ne sono molti altri, certo. Ma quelle pareti di vetro che qualcuno, anni fa, diceva che mi dividevano dal mondo, adesso sento che non ci sono più.
Certo si rischia. Pero’ ne vale la pena.
11 maggio 2007 alle 08:25