Heineken Jammin’ Festival
Avrei voluto raccontarvi le giornate dell’HJF, il caldo e i colori, le interviste metal e le battute dei ragazzi. Avrei voluto raccontarvi del concerto degli Iron Maiden e degli aerei che volano bassi dietro il palco. Dell’attesa per i Pearl Jam, della mongolfiera e del giro in barca in laguna. E invece. In dieci minuti secchiate d’acqua agitate da un turbine di vento chiudono definitivamente il discorso. E lo chiudono proprio lì, all’inizio delle esibizioni del secondo giorno.
Manca poco all’intervista dei Killers, dai C. allora rivediamo bene cosa chiedergli. Chiusi nello stand di mtv vediamo il vento alzarsi, la pioggia aumentare fino a diventare un muro d’acqua. Cominciano a volare le prime cose. E. M. e A. tentano di mettere in salvo il nostro set prima che luci e strutture cadano addosso a qualcuno. Ma non c’è modo, la tela forma una vela che si tira via tutto quello che prova ad attaccarsi. Il finestrino del camper si stacca e vola.
Se ne va tutto, la mongolfiera, gli ombrelloni, la copertura del bar.
Pochi minuti.
Poi tutto torna normale. Smette completamente di piovere. Non soffia più un alito di vento.
Esco fuori, mi avvio verso il palco con N. e C. Sul ponte che collega il backstage al retropalco c’è un piccolo esercito di sicurezza. Sembrano essere tutti lì, non si capisce se si puo’ passare o no. Non lo sanno mica neanche loro. E noi, mentre decidono, passiamo. Comincio a spaventarmi un po’, pero’. Non correre. N. mi prende per mano e ci avviciniamo. I ragazzi sono tutti sparpagliati, c’è ancora chi grida, chi piange, chi cerca le sue cose. Un via via scomposto e confuso.
Ma ce n’è uno, un ragazzo, che sta fermo. Avrà 18 anni più o meno, muscolosetto, a torso nudo, rosso per il sole. Zaino sulle spalle, una maglietta bagnata in mano. Lui se ne sta lì fermo. E trema. Trema visibilmente. Non sembra avere uno sguardo particolarmente spaventato, non è ferito, non sta cercando nessuno. Se ne sta lì e trema. Come se quel tremore fosse qualcosa di esterno al suo corpo e nemmeno se ne accorgesse. Come se fosse attaccato a qualcosa che semplicemente lo fa vibrare.
Guardiamo verso la collina e vediamo le torri piegate sul prato. Muoviamo lo sguardo da destra a sinistra. Otto torri layer. Tutte giù. Da qui in poi è un tentare di avvicinarsi e un tornare indietro, un provare a capire l’entità della cosa e il non creare intralcio ai soccorsi. Alla fine facciamo retromarcia. Per un attimo perdo gli altri. E ritorno vicino al palco. Mi sento chiamare. S. vieni via di lì? Eh? Vieni via di lì! E poi vedo A. un po’ più in là. Lo raggiungo. Beh? Lui mi indica la struttura di ferro e adesso che siamo di lato si vedono i pezzi inclinati.
Qui potrebbe venire giù tutto. Non stare intorno.
E’ impressionante.
Ma c’è anche chi continua a pensare al concerto dei my chemical romance, chi chiede del meet and greet con i linkin park (C. risponde guardando dritto, nemmeno gira lo sguardo) e chi si preoccupa del braccialetto per andare nell’area vip. Vaffanculo te e la tua area vip.
I ragazzi piano piano vengono fatti allontanare verso la collina e alla fine, in questo parco immenso, rimane solo il backstage con i giornalisti, le radio e le tv. Siamo qui e aspettiamo che qualcuno ci dica qualcosa.
Prima conferenza stampa e non si capisce niente.
Aspettiamo. Telefoniamo. Riprendiamo quello che c’è da girare, ma si fa davvero fatica. Aspettiamo di nuovo.
Il catering funziona ancora e ci troviamo lì a cenare, con colleghi e staff del festival, mentre la luce se ne va e mille pensieri arrivano. Tu immagina se.
Seconda conferenza stampa, brevissima, con Cacciari e poi tutti agli stand. Il festival è annullato.
Sembra che il vento abbia soffiato a una velocità di 150 km orari. Che cosa ci puoi fare.
Sole, caldo, camping, panini, zaini, sorrisi. Magliette metal e ciuffi emo.
E poi, il resto è un ragazzo che trema.
Musica: è finita, si torna a casa.