Cambi di programma.
Quando S. mi dice che all’ultimo momento i piani sono cambiati e dobbiamo andare a MdR lì per lì mi sembra che ci sia qualcosa che non torni. Mi arrivano spezzoni di parole tipo biglietto mare pineta videoclip.
“Ci sono problemi se andiamo in treno?”.
Figurati. Meglio il treno, certo. Andiamo per lavorare, meglio arrivare riposate.
“Allora poi do un’occhiata agli orari. Chissà quanto ci vuole”.
“Un po’” gli ripondo io. Che razza di risposta è ‘un po’.
S. si rimette a lavorare.
E io, mentre accendo il computer, ho tutto il tempo di pensare che l’ultima volta che mi sono fatta quella tratta in treno era mattina presto, in piena estate e faceva freddo. Era il mese più freddo dell’anno, come direbbero i Perturbazione, di tanto tempo fa.
C’erano le località di mare che scorrevano dal finestrino, con i loro vacanzieri raccolti intorno a un mucchietto di borse, zaini, trolley. E c’era un rumore unico che ne univa insieme mille. Voci, annunci, suonerie, porte, freni. Sotto una luce decisa, di quelle che non imbrogliano nessuno, colori troppo brillanti filtrati da lenti scure e rassicuranti. E’ incredibile vedere il mondo muoversi così freneticamente alle 7 di mattina. Ti viene da stringere qualcosa e rimanere fermo. Immobile lo ero già, ma non avrei mai saputo che cosa stringere.
Quando scappi da qualcosa, l’ideale è continuare a correre, ma se hai ancora le gambe troppo intorpidite allora ti conviene saltare su qualcosa che si muove. Io ero saltata su un treno. E’ sempre meglio di niente. L’importante è continuare ad andare, anche se ti sembra che ti manchi il fiato. Perché a partire son buoni tutti, è non fermarsi la parte difficile. Le partenze si bruciano in un attimo, sono i viaggi ad aver bisogno di costanza.
La lentezza. Ero immobile e tutto quello che ripudiavo era la lentezza.
A distanza di anni, le cose ininfluenti sono diventate finalmente senza peso, le stupidaggini si sono rivelate davvero delle sciocchezze e le parole senza spessore si sono perse nell’aria.
C’è solo una cosa che ancora, ripensandoci, mi fa tenerezza. Ed è l’immagine di quella persona seduta lì sul treno, con il telefono stretto nelle mani, perché non c’è niente altro da stringere, che svolge il suo compito. Tornare a casa. E lo fa perché lo deve fare. Non si chiede altro, è più semplice così. Compito. Svolgimento.
A Bologna scende, compra da mangiare, si siede vicino ai binari e aspetta l’altro treno.
Vorrei fermarla, dirle qualcosa, sorriderle, portarla ad una lezione di tango, farle chiudere gli occhi e vedere le luci di Manhattan.
Ma ormai non esiste più.
Musica: Afterhours (perché tutto comincia più o meno qua)- Dentro Marilyn
15 maggio 2008 alle 10:59
E come è andata a finire?
15 maggio 2008 alle 11:34
Va a finire che quelle cose le farà e le vedrà davvero.
Dopo un po’ di tempo, tanti sali-scendi dai treni e anche qualche aereo.
Cambierà telefono e anche valigia. Pure gli occhiali da sole che perderà in qualche stazione in attesa di ripartire e che sostituirà con qualcosa di altrettanto provvisorio. L’ultimo paio glielo porterà via l’uragano dell’Heineken.
Cambierà la sua casa, la sua email, il suo profumo, il suo computer.
E inevitabilmente cambierà anche lei.
18 maggio 2008 alle 18:39
Vero.
Quando cambi profumo, vuol dire che hai cambiato pagina.
Lo dice anche Cristiano Malgioglio.
P.S.
Comunque quella persona non esiste più proprio perché alla fine sei riuscita a portarla a lezione di tango.
22 maggio 2008 alle 15:33
Scusate non mi intendo di profumo se non quello del basilico. Vi interrompo per contatare che stando alle statistiche il prossimo post di invisibilia lo avremo il 30 maggio giusto?
30 ottobre 2008 alle 02:51
[...] S: Perché per me F. continua ad essere la persona che mi ha accompagnato in stazione, all’alba, tanti anni fa. Quindi preferisco immaginarlo su qualche spiaggia esotica a inventarsi una fabbrica di ombrellini [...]