Archivio di dicembre 2009

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lunedì 14 dicembre 2009

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S: Finalmente va in onda. Stanotte ho sognato che dovevo riscrivere il testo sui vampiri perché era andato perso.

N: Dove si vede?

S: In qualcosa tipo 170 Paesi.

N: Ah. Cioè in tutto il mondo civilizzato… Praticamente dove c’è una ruota va in onda anche il tuo fottuto programma.

Gomma a terra.

sabato 12 dicembre 2009

pneumatico

Mio fratello è una delle persone più razionali che Dio o chi per lui abbia messo su questa terra. Sarebbe capace di provare a spiegare come risolvere un’equazione differenziale a uno che ha fatto a malapena le medie.
Io, come al solito, lo chiamo per qualsiasi tipo di problema anche se è a 300 km di distanza. Perché lo so che anche da laggiù qualcosa di buono me lo dirà.

- Hey!
- Hey…
- Ho bucato una gomma.
- Ah. Quando?
- L’altra sera. Ero nervosa, andavo un po’ veloce… e ho preso una buca.
- Ma è proprio a terra?
- Sotto sì, sopra no.
(sento mio fratello che muore dal ridere)
Dai… mi sono spiegata male…
(continua a ridere, non ce la fa)
Insomma, come faccio a mettere la ruota di scorta?
- Non l’hai mai fatto?
(torna finalmente serio)
- No.
- E ti pareva.
- Quindi?
- Quando vieni qui per Natale ti insegno.
- E ora?
- Eh.
- Eh.
- E ora fai gli occhioni.

Che fatica. E’ mattina presto, ho dormito male, la macchina è inutilizzabile e mio fratello mi dice che devo fare gli occhioni.
Non so se in questo momento mi pesa di più mettermi un vestito decente e truccarmi oppure provare a sorridere.
Alla mega-officina che è nella piazza dietro l’angolo arrivo dopo pochi minuti a piedi. Il freddo mi entra negli occhi facendomeli quasi lacrimare. Occhi lucidi, perfetto.
Peccato che appena arrivo mi rendo conto di aver davanti un pettinatissimo centro-gomme con una vetrata da far invidia ai negozi del centro. E al di là del vetro, ahimé, una donna. Ma io dico. Dove sono finite le care, vecchie, sporche officine di una volta., dove gli unici esseri femminili sono appiccicati alla carta di un calendario di anni fa, fermo da secoli sul mese di agosto? Beh, dopo tutto siamo a Milano e qui il grasso non sporca e i pneumatici scintillano in attesa dell’happy hour.
Ovviamente vengo rimbalzata da una serie di “abbiamo troppo lavoro” bla bla bla.
E ti pareva.
Torno indietro e mi rivolgo all’unica persona che può darti una mano quando proprio non c’è più niente da fare, il simbolo dell’arte dell’arrangiarsi, il prontuario dei consigli per ogni emergenza: la portinaia.
E lei, come i saggi delle migliori favole, mi illumina: c’è una piccola officina proprio dietro la nostra strada, sono simpatici, vedrai che ti aiutano.
Così con gli occhi lucidi che mi hanno trasformato in un panda, facendo colare tutto il fastidiosissimo mascara (un consiglio per le fanciulle: nei momenti critici puntate sempre sul rossetto, è più sicuro) mi avvio.
L’officina è proprio piccolina, trasandata quanto basta e gestita da due personaggi che sembrano usciti dal mio blog. Un vecchio signore anziano, in tuta da lavoro, che discute affabilmente con una passante e un ragazzo poco più che ventenne, serio e composto, assorbito dal suo lavoro, ma con le mani meravigliosamente sporche.
Sarò pur sempre una ragazza di provincia, ma mi sento a casa.
Alcune ore dopo ho la mia bella gomma nuova, pagata un prezzo onestissimo, e tutte le altre perfettamente gonfie. Per poco non mi cambiano pure l’olio.
Nel piccolo soppalco che fa da ufficio mi dicono di portargliela per un controllo ogni due mesi, mi lasciano il loro numero e mi salutano come se avessi sempre abitato lì in quel quartiere e ci fossimo incontrati tutte le domeniche mattina a far colazione al bar.
Ogni volta che questa città mi delude, contemporaneamente mi sorprende.
Le luci della mia via, stasera, mi sembrano bellissime.

Come tutti gli altri.

domenica 6 dicembre 2009

carrelli

Fare la spesa la domenica mattina presto è un’esperienza strana. La città dorme, i rumori arrivano attutiti e anche gli ascensori sembrano andare più lenti.
Ma senza che ce ne accorgessimo è arrivato dicembre, il fantasma del Natale presente si avvicina e quindi il parcheggio del supermercato non è deserto come al solito.
Niente a che vedere con il delirio del sabato, certo, ma i barbari sono arrivati anche qui, a conquistare un pezzetto di una mattina di festa qualunque, incerta e pallida, dentro un mese invadente, illuminato a intermittenza.
Prendo il carrello e mi avvicino all’ascensore. Una signora di mezza età preme nervosamente  il pulsante di chiamata e poi si gira verso l’uscita, impaziente.
Si guarda intorno, poi fissa la freccia rossa che punta verso l’alto, quindi guarda di nuovo l’uscita.
- Ah, eccoti.
Parla rivolta ad un signore che arriva senza fretta, spingendo il carrello. Ha gli occhi dritti davanti ai suoi, ma non la guarda, chissà dove è. Forse non la sente nemmeno.  Non dice niente, un segnale elettronico avverte dell’arrivo dell’ascensore. Lei gli fa cenno di andare. Lui entra, lei lo segue. Io mi faccio avanti con il mio carrello e mi sistemo in un angolo. La scena è tutta loro, io sono lì per caso.
Proprio mentre da lontano spunta un ragazzo che affretta il passo per raggiungere il nostro ascensore, la signora preme il pulsante di salita. Le porte si chiudono, con una determinazione inesorabile, stringendo sempre di più il parcheggio e il ragazzo in avvicinamento, fino a nasconderli del tutto.
- Ma perché non hai aspettato? - chiede il signore, come se fosse improvvisamente tornato in vita.
- Ehhh- prende tempo lei, un po’ scocciata - non ho fatto in tempo, avevo già schiacciato …
Era stata questione di un attimo. L’aveva visto e aveva premuto contemporaneamente. C’era lo spazio per interrompere un gesto già partito, forse. Chi lo sa. Ci penso, mentre l’ascensore sale, lento e silenzioso, come ogni domenica mattina.
Il signore la guarda, lei non si gira, ma stavolta la sta guardando davvero.
E dalla sua bocca esce qualcosa che ancora adesso non so esattamente cosa fosse. Perché lo dice con un tono così freddo da poter spazzare via qualsiasi forma di affetto fosse rimasta in sospeso tra quei due.
C’è un mare gelido davanti a loro e lui ha tutta l’intenzione di buttarla in acqua. A questo punto c’è da chiedersi solo come lo farà.
- Sei come tutti gli altri.
Splash. Buttata. Trenta gradi sotto zero e sento freddo anch’io. Le parole arrivano senza esitazioni, senza scuse, senza litigi da rimandare.
Intrappolate nel ghiaccio, quasi solide, rimangono nell’aria qualche secondo.
A me sembra un’eternità.
Poi le porte si aprono di nuovo, il rumore delle casse invade l’ascensore, lui spinge il carrello, le passa davanti ed esce.
Lei rimane ferma un secondo.
Io non posso fare a meno di cercare in aria gli spruzzi d’acqua gelata di quel tuffo forzato.
E invece sento solo la voce di lei, che non parla a nessuno, un bisbiglio, quasi inesistente.
Un congegno che si spegne.
- E allora?
Suo marito è davanti a lei, si sta allontanando di spalle.
Lei fa un passo ed esce.
Il passo è quello nervoso di poco prima. Lei è quella di prima. “E allora… ” Lo raggiunge e spariscono dietro un giardino di verdure in offerta.