La curvatura di Jefferson
sabato 14 novembre 2009
A Jo e a tutti i salta-strade.
Da quando hai imparato a parlare hai scoperto anche un’altra fondamentale abilità: cambiare discorso.
Trovare un collegamento, un link, come si direbbe su internet, che conduce immediatamente da un’altra parte, su un’altra pagina, meno ostile e più sicura.
Beh, tutti l’hanno fatto almeno qualche volta, ma per alcuni diventa quasi uno stile di vita: farsi trasportare da una parola in un territorio conosciuto e innocuo, un paesaggio che puoi descrivere ad occhi chiusi e che, in caso di necessità offre non pochi nascondigli ( e tu li conosci tutti). Non è distante , è sempre lì, a pochi passi. Non fa freddo, non fa caldo, ti senti a tuo agio.
Passano gli anni e le tecniche si affinano.
Le discussioni scorrono su un filo, serenamente, e quando si intoppano… voilà, c’è una perfetta strada parallela su cui saltare.
Ci balzi sopra e ti senti salvo.
La vita continua ad avere il suo bel binario dritto e poco importa se ogni tanto non ci sei più esattamente dentro. Poco importa se in realtà sei a metri di distanza perché dopo tutto c’è sempre il rassicurante medesimo orizzonte che ci deve essere. Insomma la direzione è quella, anche se non ti ricordi più quando l’hai decisa.
Poi un giorno capita che, per qualche motivo, la connessione non funziona, i link non si aprono e tu sulle tue strade parallele non riesci più a saltarci.
Accenni anche qualche misero movimento, sperando di rimbalzare su uno di quei fantastici percorsi alternativi, ma non riesci ad alzare nemmeno un braccio; provi a dire qualche brandello di frase, ma non apre più nessun link.
E allora stai fermo, immobile, come nei sogni. E non dici più niente.
Hai freddo, la pioggia ti bagna e la terra diventa presto una fanghiglia.
Ti guardi intorno, hai il tuo bel vestitino imbrattato, le scarpe appiccicate e non c’è nessuno.
Non puoi far finta di esserti perso perché l’orizzonte è sempre lì davanti a te, ma se ci vuoi arrivare stavolta devi rimanere sulla ferraglia sporca di quel binario qualunque, il tuo binario qualunque, riconoscere quella specie di poltiglia che ti si attacca anche ai polmoni e trovare un modo per sentirtici bene.
Passa il tempo e ad un certo punto smette di piovere.
Le connessioni sembrano ritornare, ti accorgi che le strade parallele si riaprono e se provi a saltare realizzi di aver recuperato quasi tutti i movimenti.
Potresti fare mille cose e invece non ne fai nessuna.
Anzi ne fai una.
Ti siedi, nel fango.
E guardi avanti.