“Ma passerà, sì passerà questo pallore che ci rende così simili da perderci.”
E’ notte e la telefonata della mia amica G. arriva puntuale come un orologio. A disallineare giorni ordinati a fatica. Bastano cinque secondi di silenzio ed è già chiaro tutto.
A volte abbiamo così paura che qualcosa di meraviglioso si rovini che finiamo per rovinarlo noi. E’ come se, convinti dell’inevitabile, decidessimo di provocare volontariamente un disastro. Finché ci siamo, in mezzo alla tormenta, non ce ne rendiamo mica conto. E’ quando cala il vento, la neve ha ricoperto gli alberi e rimane solo un freddo glaciale che ci accorgiamo che non c’è più niente.
Cammino lentamente mentre capisco che è impossibile riempire il silenzio di chi sento dall’altra parte. Posso solo accoglierlo, respirando per far sentire che ci sono, ma senza spazzarne via la dignità con insopportabili luoghi comuni. Per una volta non so davvero cosa dirle.
Sono passate le due quando torno a casa e stasera spero davvero che T. sia alzata. Spero di aprire la porta e vedere la luce nel corridoio sentendo piano la musica che si diffonde per la casa.
Giro la chiave e poi aspetto qualche secondo prima di entrare. La voce di T. anticipa ogni altra azione.
“Hey”
Sorrido.
Mentre entro la vedo alzarsi dalla scrivania e venirmi incontro stiracchiandosi.
“I’m still up”.
Lentamente, comincio a parlare.
E’ bello, spesso, usare un’altra lingua. Ti permette di prendere distanza. E magari intuire che c’è una via d’uscita da suggerire, un po’ meno scontata delle altre. Le parole si mescolano al profumo di Apple Crisp che si è sparso per tutto l’appartamento.
C’è calore e ce n’è davvero bisogno.
Se lo senti, forse riuscirai anche a trasmetterlo. Bisogna aiutare G. a sciogliere un po’ di tutta quella neve. E da qualche parte bisogna iniziare.
Musica: stavolta è troppo bassa per riuscire a sentirla. Che qualcuno la alzi, per favore.