Mullholland A.
sabato 26 luglio 2008Le storie mi affascinano. Da sempre. Forse è per questo che mi piace così tanto scrivere.
Siamo circondati da personaggi e da racconti che se ne stanno nascosti lì, nelle pieghe di una vita reale apparentemente insipida e dimessa.
Questo è il loro grande fascino.
Sono personaggi appena disegnati e le loro storie sono soltanto intraviste, spesso lasciate a metà. Però vale la pena di raccontarle e, a volte, in notti senza sogni, immaginarle.
Mulholland A.
La strada dove abito a Milano è una via tranquilla poco lontana dal centro. Ex case popolari di anziani milanesi che lentamente si trasformano in graziosi appartamenti di giovani professionisti al primo acquisto o funzionali abitazioni per gli studenti di medicina o del poco distante politecnico.
Nel giro di pochi metri, diviso in piccoli negozietti, c’è tutto quello di cui puoi aver bisogno, dal latte fresco alla stampa di una foto digitale.
Davanti al mio portone, dall’altra parte della strada c’è un locale da aperitivi molto frequentato che la notte crea un viavai di ragazzi e una serie di lamentare da chi vorrebbe il coprifuoco sonoro dopo le 9 di sera. Verso le due il S. chiude, le macchine in doppia fila spariscono insieme alle chiacchiere e improvvisamente il quartiere sembra assopirsi.
E’ in quel momento, esaltati dal silenzio e dal vuoto della strada lasciata definitivamente libera, che i pochi suoni che si sentono sembrano amplificati, ogni singolo gesto acquista un’importanza inaspettata e le persone che compaiono diventano dei fantasmi spuntati dal nulla.
Ogni tanto, in questi momenti di transizione tra un giorno e un altro, mi capita di fermarmi a parlare in macchina con il mio amico John F.
Stare in macchina di notte mi tranquillizza. Non ve lo so spiegare. Lo facevo al liceo quando non c’era altro posto per andare ed era lì che venivano fuori le frasi più assurde e le risposte più importanti, le risate più fragorose e i silenzi più belli.
Mi è rimasta addosso quella cosa lì, da ragazzina forse.
Alla fine è una specie di non luogo e a me sfumare un po’ i contorni è sempre piaciuto.
Qualche sera fa, appunto, ero in macchina con il mio amico John F. Le due passate da poco, la strada ormai svuotata, praticamente deserta
Io come al solito mi sto aggrovigliando nella difficoltà di un discorso semplice, quando arriva una macchina a gran velocità, frena facendo fischiare le gomme sull’asfalto e si ferma proprio davanti a noi. Si apre la portiera del passeggero, una ragazza esce di corsa e si infila in un portone. La macchina sgomma di nuovo e riparte. Dopo poco torna il silenzio più completo.
Io mi accorgo di avere ancora il respiro in gola.
Di giorno, nel traffico, avrei solo pensato, di fretta, ma come cazzo guida questo. Di notte, con il buio e l’assenza di rumori, mi sono spaventata a morte. Ma non solo. Sono anche diventata curiosa.
Guardo John F. che capisce e mi dice “Hanno litigato.”
Lui ha questo senso pratico che a me manca completamente, soprattutto nel capire le persone. A lui basta un secondo, a me non basta una vita. Certo, anche lui fa i suoi errori, ma è come un disegnatore che con tre tratti costruisce un oggetto. Ecco, lui nelle persone e nelle situazioni riesce a vedere subito quei tre tratti lì. D’accordo, poi c’è tutto il resto ma lo invidio un po’ perché io, tra le mille linee su cui poso gli occhi, al primo colpo non li becco mai.
Continuiamo a chiacchierare, quando arriva un’altra macchina. La strada è vuota, qualsiasi movimento è un evento. Ma questa arriva lentamente, mette la freccia e si ferma davanti al cancello di fronte a noi, dall’altra parte della strada. Sempre molto lentamente scendono una signora e una ragazzina. Poi compare anche il guidatore, un signore di mezza età. Mentre le saluta lascia la macchina accesa anche se non sembra avere alcuna fretta. Al contrario, quasi temporeggia. Sarà una famiglia, penso. Strano vedere una famigliola rientrare alle 2 e 30 di notte. Poi lui risale in macchina, aspetta che loro si siano richiuse il cancello alle spalle e, sempre lentamente, riparte.
Guardo John F. , di nuovo, che stavolta azzarda di più: “Sono divorziati. Lui le ha appena riaccompagnate”
Mmm. in effetti potrebbe tornare. Stanotte però mi sembra tutto strano.
Come la musica che sto ascoltando sprofondata nel sedile della macchina. Ma questa è un’altra storia.
John F. è rimasto qualche minuto in piedi, fuori, appoggiato al finestrino e mentre rientra arriva di nuovo la macchina della sgommata di prima. Stavolta la guida è più o meno normale. Accosta davanti a noi, esattamente come venti minuti fa.
“Lei l’ha chiamato”.
John F. mi spiega di averla vista poco prima, dentro al portone con il cellulare.
Vedo la ragazza salire in macchina con lui.
Forse avevano litigato davvero… E’ che stanotte sembra tutto senza senso.
“Guarda, guarda” fa John F. “è tornata anche l’altra macchina”.
“Ma sei sicuro che sia quella?”
In effetti è vero, è tornata anche la macchina del signore di mezza età, che stavolta pero’ si è fermata in fondo alla strada. Lui non fa niente. Rimane dentro. Sembra aspettare qualcosa che non arriva.
“Cosa cavolo aspetta?”
La risposta non c’è. Il tizio rimane nell’auto. Non tenta di parcheggiare, non tenta di uscire. Rimane lì, in seconda fila, alla fine della strada.
Io e John F. abbiamo lo sguardo fisso sul cancello dietro al quale sono scomparse poco prima la donna e la ragazzina. Ma non succede niente.
Ad un certo punto la macchina, sempre senza fretta, riparte. Ci passa davanti e si allontana lungo la strada fino a quando la perdiamo di vista.
Ci guardiamo.
Questa volta la storia è più complicata. Si può immaginare di tutto. Storie d’amore, di rapimenti, di traffici illegali. Ok ok sto esagerando. Tre tratti, solo tre tratti. E’ che non ci riesco proprio. Forse ha solo dimenticato qualcosa. Forse non sono nemmeno una famiglia.
Le linee forti scolorano, le figure sbiadiscono.
Lui sta scomparendo.
Ha bisogno di una storia.
E allora gliela scriveremo. Sono solo le tre, in una deserta e silenziosa Mulholland A.
Musica: Inedita. Almeno fino a quando John F. non cambierà idea.