Domenica, intorno alla 2 di notte.
Il disco è ormai alla fine. Sono già sotto le coperte quando mi viene in mente di controllare una cosa. Tento di allungarmi senza uscire dal letto e di afferrare la borsa. Non so come, ma ci riesco. Cerco per un po’ senza vedere e finalmente tiro fuori il booklet di un cd. Lo apro, vedo che dentro c’è un foglio con un disegno. Lo richiudo. Spengo la luce. Devo dormire.
Parte l’ultimo pezzo.
Don’t look at me like that she won’t take you back, said too much been too unkind…
FLASHBACK
Gli eroi romantici ci affascinano da sempre. Follia, sregolatezza e genialità. Tutti attraversiamo un momento in cui non possiamo farne a meno.
Poi, per molti, passa. I sogni sono incredibilmente belli proprio perché sono sogni, i personaggi irresistibili perché sono personaggi. Quelle robe lì non sono vere, ci diciamo mentre andiamo a far la spesa, insomma non sono cose che accadono realmente, sono solo cose che si possono raccontare.
Sono carta stampata, pellicola, musica trasformate in letteratura.
Poi succede che per caso, un giorno, ti dicono che dovresti incontrarne uno. Sì, uno di questi qui. Questi che sembrano stare solo dentro i romanzi. Diresti che non è possibile, ti vogliono far credere ai fantasmi.
Infatti quando all’ultimo momento, domenica, ti comunicano che alla tanto attesa intervista con i Babyshambles, Pete Doherty non si presenterà ti sembra la cosa più normale del mondo.
Vedi, non esiste, pensi.
Quindi lì, nella sala fumatori del Rolling Stone ti concentri su Mick e Adam, chitarrista e batterista della band, che raccontano di una torta in faccia tirata in autogrill, di Mick Jones dei Clash (fatelo suonare, dicono, ma vi prego tenetelo lontano dal mixer), di Shotter’s Nation, dell’Inghilterra, di calcio e della vita rock’n'roll.
Mick non sembra proprio in forma. Sono appena le sei e mezzo, viene da chiedersi come arriverà a sera.
L’intervista comunque è fatta, noi abbiamo finito di lavorare e così ci mettiamo a gironzolare per il locale ancora vuoto, mentre la massa di gente accalcata all’ingresso si fa sentire sempre di più.
C. e M. danno un’occhiata al soundcheck, Y. cerca un posto dove lasciare l’attrezzatura, io e TJ pensiamo che mancano ancora ore al concerto.
Ed è a quel punto che compare, in ritardo come da copione, completamente assente, magrissimo e allampanato. Pete Doherty è sulla porta del Rolling Stones ma in realtà è come se si muovesse davanti a un enorme green back. Mettete voi lo sfondo che volete, io me ne frego, io forse qui non ci sono neanche.
Le camere di AM lo catturano immediatamente, coinvolgendolo in un’intervista improbabile, dove, contrariamente ai piani, finisce lui per decidere a cosa stanno giocando.
E’ tardi, dovrebbe andare, invece rimane seduto sul divano e allora C. gli si siede vicino. Ciao, si presenta. Ciao, risponde lui. E chiacchierano come se fossero al bancone di un bar, a tirar serata. Cosa hai fatto oggi.
Pete è stato in giro, l’Italia un po’ la conosce e la ama. Perché una volta aveva una ragazza a Brescia. Sì, è per quello che gli piace così tanto. Si salutano.
Da dietro continuano a chiamarlo ma lui non sembra aver intenzione di andarsene. Il suo sguardo si illumina improvvisamente, poi si rispegne. Chissà cosa ha visto. E’ come se intorno a lui ci fossero improvvisi piccoli flash.
Sembra tornato completamente nel buio quando io, che sono a due passi, mi avvicino. Gli passo un foglio con le firme di Mick e Adam. Lui mi guarda, prende il foglio e inizia a disegnare.
Io tento di decifrare quei segni: è un cappello.
La voce dei suoi collaboratori si fa più forte. Devono andare.
Lui si gira, li guarda per un attimo, senza dire niente, e poi, senza fretta si rimette a disegnare come se niente fosse. Uno a uno ripassa i tratti già segnati, come se adesso dovesse ricominciare tutto da capo. Poi fa comparire un viso e una sigaretta. Una scritta. E alla fine quella che credo che sia una firma. Lentamente mi riconsegna il foglio. Abbassa lo sguardo e io penso che la sua tremenda fama ormai rimarrà fuori da questo incontro estemporaneo. Ha modi dolci, gentili.
Rialza la testa. Come ti chiami, mi chiede. Sara, gli rispondo. Sara, chiede di nuovo lui. Sì. Mi guarda con quel viso spaesato e stupito che hanno i bambini quando incrociano lo sguardo di una persona sconosciuta. Chissà su quale pianeta si trova. Piacere di conoscerti, mi dice.
Forse avrei dovuto dirlo io, penso, ma ormai è tardi e se lo trascinano via.
Due ore dopo, dalla balconata del Rolling Stone, lo vedo riapparire, vacillante, sul palco mentre con Delivery inizia il suo concerto. I ragazzi, giù, lo adorano. Una serie di cappelli volano sul palco. Lui li raccoglie, li indossa, li lancia.
Guardo TJ di fianco a me, a. dietro di noi, Y. e C che tornano pieni di birre. E penso, per una volta, che non vorrei essere assolutamente da nessun’altra parte.
E’ un rock sporco quello che ascoltiamo, a volte anche un po’ sgangherato, disperato, ma pieno di squarci di vita e la vita si sa è quanto di meno ordinato e preciso ci sia.
Here comes a delivery straight from the heart of my misery. Ti starai distruggendo, perso in una decadente luce di filmatini you tube e giornaletti da sale d’aspetto A song is just a game I’m getting good at cheating at. Oppure starai prendendo tutti in giro dettando le regole del gioco. You can call yourself a killer but the only thing you’re killing is just your time. O forse niente di tutto questo. Ma scrivi dannatamente bene e qualunque cosa tu stia facendo non possiamo non cercare di perdonartela.