Archivio di ottobre 2007

E Poi (tranquilli, la canzone di Giorgia non c’entra niente).

martedì 30 ottobre 2007

A distanza di una settimana, incontro ancora qualcuno che mi dice: ma allora sei stata al Joia. E ogni volta sento lo stesso senso di straniamento, un po’ come se qualcuno mi avesse pedinato. Non mi ci abituerò mai.
Ma la cosa più strana è che c’è stata una persona che ha aggiunto: e poi? E poi cosa, ho pensato. Non l’ho detto pero’. Al contrario ho cominciato a chiedermi se non mancava qualcosa. E se qualcuno avesse davvero pedinato non i miei passi ma i miei pensieri.
E poi.
E’ passata più di una settimana e forse non ha più senso stare qui a scrivere. Ma è come se sentissi di dovere qualcosa a qualcuno. Se è vero, saldo il debito.

E poi salgo in macchina per tornare a casa.
Mentre guido, mi torna in mente un pomeriggio di un paio di anni fa, nei corridoi della Rai, mentre con una mano mi infilavo un paio di scarpe con il tacco, un po’ malconce, e con l’altra addentavo un panino visibilmente preparato a casa.
Uno dei tecnici si era avvicinato, mi aveva detto due parole e se ne era tornato al suo lavoro. Mi ricordo che mi ero fermata un secondo, un po’ sbilanciata su una gamba sola ma soprattutto senza una frase su cui appoggiarmi. Non avevo nemmeno potuto rispondere, era arrivato l’assistente di studio e avevo avuto solo il tempo di scuotere via le briciole e raccogliere i miei fogli.
La sera, sul trenino che da Saxa Rubra mi riportava in centro, ci avevo scherzato su, per poi dimenticarmene completamente nel lungo tragitto da Piazza del Popolo a Trastevere: l’autobus, come al solito non arrivava e quindi, con solo una manciata di euro in tasca, non restavano che quaranta minuti a piedi.
Adesso guido per tornare a casa dopo il famoso Joia, penso che i soldi per quella cena di “alta cucina naturale” io forse non li avrei nemmeno avuti nel portafoglio e mi viene in mente quella stupida domanda retorica.
“Sei bella, ma perché non ti sposi qualcuno con i soldi e smetti di affannarti?”
Non era un complimento, non ci pensate, la bellezza lì era solo un insieme di tratti e lineamenti con alta probabilità di essere graditi ai più. Voleva essere piuttosto una specie di invito a godersi la vita.
Sono sempre in macchina e continuo a guidare. Che banalità. Ma dai corridoi della Rai, i pensieri saltano velocemente ad uno scambio di battute fatte qualche sera prima, in taxi, con TJ. Rimangono invischiati in quel taxi per un po’ ma poi, quasi senza che me ne accorga, escono da una piccola fessura e finiscono a New York. Lì si fermano, come al solito: quanto mi piacerebbe tornarci il mese prossimo, anche solo per un week end…
E’ chiaro che i soldi danno leggerezza. Comodità. A volte anche un po’ di euforia.
Parcheggio sotto casa e raccatto dalla macchina carte sparse di merendine. Uno dei miei pranzi o delle mie cene, non me lo ricordo. Gita di pandispagna all’albicocca in un freddo quartiere del nord (da servire freddo, con la marmellata un po’ attaccata al cellophane e con un rumore di pioggia sui vetri) . Sorrido fra me e me. Poi raccolgo i libri da finire di leggere, qualche rivista e dei cd.
Osservo mio fratello, che si è quasi addormentato, e le mie scarpe. Senza tacco.
Si riparte, ma stavolta, giuro, è davvero la fine.
Le nuvole scorrono veloci, mi soffermo, le osservo. E le blocco.
E’ solo un attimo quello in cui mi accorgo che nessun altro avrebbe potuto farlo al posto mio. Per una frazione di secondo si puo’ anche dire. Felice? Felice.

TJ

mercoledì 24 ottobre 2007

A grande richiesta vi comunico, nel caso non l’aveste già scovato che il tanto atteso spin off di TJ se ne sta qui in attesa che il vostro personaggio preferito si decida ad aprire un blog tutto suo. Ma allora, forse, dovrei iniziare a preoccuparmi.

Sotto una coltre. Di Joia.

martedì 23 ottobre 2007

Uno dei seguenti è il vero nome di uno dei piatti del ristorante Joia di Milano:

1. fantasia di funghi in profumo di erbette
2. delicatezza di fragole e ricotta accompagnate da cialde croccanti alle verdure
3. nuvole scorrono veloci, mi soffermo e le osservo felice

Avete il tempo di questo post per rispondere.
Mentre scorro lentamente il menu, ripenso a come mio fratello, approfittando di un momento di confusione, tra mille messaggi che saltellavano sul messenger e il solito milione di cose da scrivere al lavoro, mi abbia incastrato. Alla fine della conversazione era rimasta una frase, lì che lampeggiava.
Allora prenoto.
E così mi ritrovo seduta in una saletta, con un cameriere che attende discretamente, a tentare di capire se qualcuno mi sta prendendo in giro o se veramente un senso da qualche parte c’è. Mentre lo cerco l’occhio mi cade inevitabilmente sui prezzi. Guardo mio fratello quasi terrorizzata. Un piatt(ino) costa sui venti o trenta euro. Il menù di assaggio più economico sessanta.
Lui se ne sta lì tranquillo mentre consiglia sassi che rotolano, uova apparenti, ritorni alle origini.
Mi sorride. La cena la offre lui.
Adesso, mio fratello non è certo uno che naviga nell’oro. E non è nemmeno un fighettino. Gira con una vecchia uno del ‘90 (ogni inverno che riesce a superare, rattoppata dal mitico meccanico Ghiselli, non ci si crede), ha un cellulare che se lo guardi ti viene da dire “cavoli, me lo ricordo questo!” (e vale solo per la generazione dei trentenni), porta gli stessi jeans che usava al liceo (ma le mode girano, prima o poi tornerà in fase) e appena ha due giorni liberi se ne fugge in un piccolo paese della Val Pusteria (lo chiama “il paesello”).
Sto già pensando, va beh me la caverò con un primo, quando vedo arrivare sei mini-tortellini. Gliene faccio assaggiare uno e me ne rimangono cinque. Cucinati in modo fantastico, con una serie di salse con pesto mandorle e del formaggio che non riconosco. Ma sempre drammaticamente cinque.
E quindi mi vedo costretta ad ordinare qualcos’altro.
Nel frattempo arriva il gong. Che cos’è il gong? Un piatto composto da un minitortino di formaggio accompagnato da insalata e da un suono. Indovinate quale. Il cameriere ti serve e provvede a completare la combinazione suonando un piccolo gong. Beh.
Sperimentazione culinaria, d’accordo. Nuove e intriganti combinazioni di sapori, è vero. Ma adesso mi prendete anche un po’ in giro. Diciamocelo e ridiamoci tutti un po’ sopra. E infatti ce lo diciamo. E ci ridiamo anche un po’ sopra.
Ed è ora che è arrivato quel tocco di innegabile inutilità che forse inizio a rilassarmi davvero. Incredibilmente comincio a divertirmi.
Ce ne andiamo solo dopo dolce e caffé, quando ormai è quasi mezzanotte e io non saprò mai quanto abbiamo speso.
Nuvole scorrono veloci, mi soffermo e le osservo. Felice?

La giusta distanza

venerdì 19 ottobre 2007

Sono le dieci di mattina quando entro di corsa in un cinema del centro. E per un attimo mi sembra di nuovo di tornare ai tempi dell’Università con le proiezioni dei film al mattino, nella sala cinema della Facoltà di Lettere di Siena.
Sfiorando il ritardo e tentando di non perdere per strada i troppi oggetti che dalle mani tento di distribuire nelle tasche e nella borsa stracolma, vado a sedermi, oggi come allora, troppo vicina allo schermo. Quando sono da sola succede sempre così. Se nessuno mi trattiene, la tentazione è sempre quella di appiccicarmi alle immagini, tuffarmici dentro.
Il film comincia. Proiezione per la stampa del nuovo lavoro di Mazzacurati, La giusta distanza, in uscita domani nelle sale.
Prima che spegnessero le luci ho fatto in tempo a leggere, in grassetto, sulla prima pagina della cartella, la preghiera di non svelare l’intreccio e l’epilogo della storia.
E io non ve lo svelo. Anche perché qui la storia non è tanto la trama (seppure intrisa di giallo) o l’implicita condanna del pregiudizio come simbolo dei nostri tempi (che così, da sola, parrebbe un po’ scontata) quanto il luogo in cui avvengono le vicende. Il film è tutto in quel quadrilatero di terra piatta e nebbiosa, dimenticato da qualcuno alle foci del Po’, un mondo accogliente e inospitale allo stesso tempo, sconosciuto e tuttavia familiare, fatto di personaggi resi immobili, grotteschi o comici dalla vita di provincia. Paesaggi naturali e umani si descrivono a vicenda. Concadalbero da qualche parte io l’ho già visto, ascoltato, respirato. Quei personaggi così efficacemente tratteggiati li ho incontrati, salutati e a volte dimenticati. Certo che saperlo raccontare pero’ è un altro paio di maniche.
La giusta distanza è quella che un giornalista dovrebbe riuscire a tenere tra sé stesso e i fatti. Se rimani troppo lontano rischi l’indifferenza ma se ti avvicini troppo l’emozione potrebbe abbagliarti.
Scorrono i titoli di coda quando una giornalista si alza e a voce alta butta lì una frasetta insipida che, senza usare nemmeno un aggettivo, distrugge il film. E se ne va. Peccato che sia stata metà del tempo a scrivere messaggi sul cellulare e che abbia pure risposto ad una chiamata conclusa con un “ti richiamo dopo qui c’è casino”. Già. La scena della festa in paese. Che sfiga proprio in quel punto.
Se io, come al solito, sono saltata in braccio allo schermo lei è praticamente rimasta fuori dalla porta. Chissà cosa ci avrebbe detto il consumato giornalista Bentivoglio.

Sun Flower Moon

martedì 16 ottobre 2007

Per una che ha passato l’infanzia in tutù e l’adolescenza in calzamaglia incontrare Moses Pendleton non è certo una bazzecola.
Tanto più se ti tiene brillantemente a chiacchierare per mezz’ora buona e poi ti chiede di andare a vedere la prima del nuovo spettacolo dei Momix, accompagnando l’invito con una ancora più inaspettata raccomandazione al suo ufficio stampa perché i posti siano tra i migliori.
Se lo raccontassi a mia madre penso che per una volta crederebbe che quasi quasi faccio un lavoro serio, di quelli che fanno gli adulti, e magari sarebbe anche orgogliosa.

Musica (nei ricordi) : Brian Eno, Music For Airports

Creo Pay

venerdì 12 ottobre 2007

Ogni tanto si lotta con i mulini a vento. Ma se hai la fortuna di avere qualche cavaliere, vale sempre la pena provare.

Oggi i PAY a Your Noise in occasione del nostro CREO CONTEST e allora l’ “inutile” sigla stasera è tutta loro.

Musica (live): PAY, Un Barattolo D’Ammore

Fool For A Lonesome Train

martedì 9 ottobre 2007

Quando torni a casa stanca morta, con i testi e le interviste ancora da scrivere, con l’unico desiderio di stravaccarti sul letto insieme a una fetta di pane e nutella, ti serve qualche momento buono da spenderti. Oggi potrebbe essere uno di quelli.
Ben Harper in studio a Your Noise e potete dire quello che volete di lui. Freddino, scostante, poco incline alle interviste, ma ha una voce da farti squagliare per terra. E infatti lo ascolti suonare spiaccicata al pavimento bianco di YN senza pensare per una volta a cosa arriverà dopo.
Ma quando quelle poche parole che ti dice le accompagna ad una sincera gentilezza non sai nemmeno più se vuoi che canti o preferisci che parli.
Nel dubbio, stasera metti su il suo cd.

Ben Harper And The Innocent Criminals: Lifeline

Buona la prima

domenica 7 ottobre 2007

Premessa: Se avessi scritto questo post ieri sera o meglio stamattina alle cinque sarebbe stato diverso. Ma si sa, funziona così. La testa è un frullato di immagini e di parole, i cocktail ci mettono la loro parte, il sonno che sembra non arrivare la sua. O li fermi, e forse spesso è meglio non farlo, oppure con il passare delle ore si scollano come un’etichetta bagnata da un barattolo vuoto (che poi se fosse pieno sarebbe la stessa cosa, ma adesso mi sembra che dentro ci sia ben poco e quindi lo lascio così).
Insomma, così questo che sto scrivendo inevitabilmente diventa il post di domenica mattina alle 10:30 e non quello di sabato notte alle 4:45

Post: E adesso come lo inizio. Beh, partiamo dai personaggi.

TJ: non potevo che metterla per prima. A grande richiesta torna ad accompagnare le mie serate e anche questo blog.
L’avreste vista in macchina con me, paziente, cercare un impossibile parcheggio nei pressi dell’Alcatraz intervallando i “forse là” con qualche precisazione sulle sue vacanze estive.
E poi, guardare curiosa la Rock Fm All Stars Band che suona per la festa del diciassettesimo compleanno della radio.
E ancora, ordinare da bere per tutte e due, sentirsi ubriaca dopo due gocce di vodka (per lo meno siamo pari), ballettare i pezzi più rock (cosa sei diventata TJ!) e scambiare considerazioni generali sulle feste i drink i messaggi i sogni il caso.

Francesco, operaio del rock: Compare a sorpresa sul palco con la sua telecamerina. Solo perché mentre tentava di fuggire da Milano, venerdì sera, la polizia l’ha fermato e gli ha ritirato il libretto di circolazione. Mi dispiace, ma sono contenta di vederti Fra. E poi sei l’unico che non mi dirà mai “ti vedo dimagrita…”.

Rock Fm Djs: Come faccio adesso a non dire una banalità? Li conosco solo da pochi mesi ma sanno davvero come farti sentire a casa. Ma… ilpovero stagista Pietro l’avete messo in punizione?

Ragazza a cui forse abbiamo rubato il tavolo: Sulla ventina, capelli colorati ma non mi ricordo più il colore, sorride mentre ci dice che il tavolo è suo e quando noi stiamo per alzarci aggiunge “ma che fate… rimanete… due belle ragazze come voi… come vi chiamate? state insieme? che bello che siete arrivate”. E praticamente ci abbraccia. Già.

Ragazzi vari: (comparse, anche se a qualcuno, un regista troppo buono ha donato qualche battuta) vari, alcuni rompicoglioni, uno incredibilmente insistente. Se ti rispondo cortesemente con la freddezza di un surgelato non vuol dire che ti puoi avvicinare e rincarare la dose.

La sottoscritta: Non ha ben capito, forse, perché sono le due ed è seduta di fianco a TJ ad un tavolo che non è il suo, arginando le domande e spiegandole che cosa le passa per la testa. E mentre tenta di tirare fuori il cellulare, si trova in tasca un plettro. Ma guarda un po’ , è quello di Kevin Devine, il Brooklyn Boy che ha incantato tutti, a sorpresa, venerdì a Your Noise.
Così la risposta che cerca confusamente su un telefono forse la trova lì, nella semplicità disarmante di un musicista che quando stava salutando, porgendogli la mano, l’ha abbracciata e sincero se ne è uscito con un Thank you so much. Poi si è ripreso la sua chitarra e se ne è andato verso il volo di ritorno a casa.

I personaggi hanno seguito il copione, in parte improvvisato, a volte sbagliato, ma nessuno gli ha permesso di ridire anche una sola battuta.

Buona o cattiva, è rimasta la prima.

Musica: Stars- Your Ex-Lover Is Dead (e un po’ è anche colpa di C. che continua a canticchiarla… )

11:10

giovedì 4 ottobre 2007

Frappuccino. Ho un’irresistibile voglia di Frappuccino. Con il suo miliardo di calorie affogate nella panna e in una quantità di caffeina che ti fa spalancare gli occhi per ore.
Frappuccino.
Voglio un Frappuccino.

Fly

martedì 2 ottobre 2007

Vi sarà capitato qualche volta di sentirvi improvvisamente grandi. Nel senso di adulti. Per un insignificante nonnulla che alla fine diventa importante. E’ solo un attimo, poi si ritorna a fare quei conti che non tornano e a cercare qualcosa che non c’è. Oggi arrivano a Your Noise i Second Grace, gruppo di Palermo di questo filone chiamato Nu Acoustic, portati al successo da una pubblicità. Suonano live la loro Like a Juliet, aggraziato e malinconico indie pop, e poi tentano di superare l’imbarazzo dei pochi minuti dell’intervista. Sinceramente poco abituati a studi e telecamere, stringono le loro chitarrine e forse pensano che va solo tutto troppo veloce.
La puntata finisce in un battibaleno, oggi doppi ospiti, biglietti da regalare, clip e contributi. Lo studio si svuota veloce e loro, raccolti gli strumenti, si fermano lì fuori. Si scambiano qualche parole, si guardano un po’ intorno, qualcuno è al telefono, come alla ricerca di quel calore che in quei sei minuti, poco più, proprio non c’era modo di trovare. Tutti noi rientriamo in redazione. Io ripasso per andare a recuperare un paio di cose in studio. Li guardo, ci ripenso e mi fermo. Gli chiedo se si sono divertiti. E’ finito tutto in un attimo, mi dicono. Lo so. Ripenso a quante volte ho visto quello sguardo un po’ spaesato in chi come loro ha bisogno di crederci, ma tutto quello a cui è abituato è fatto soltanto di musica. Please give me a second grace… Gli sorrido. Se la caveranno. Se la sono già cavata.

Musica: The Second Grace, Antanarive