Hey There
giovedì 27 settembre 2007Certe giornate sono quasi circolari, con una fine che si ripiega, inaspettabilmente ma senza fretta, sul loro inizio. Quello che conta di solito è tutto ciò che sta in mezzo a quell’inizio e a quella fine ma quello che a volte ci strappa una specie di sorriso, stanco e stiracchiato, è invece solo quell’ultimo tratto di linea, perché ci riporta proprio lì, dove ci siamo svegliati, con un pezzo che gira su i-tunes, il letto sfatto e il telefono scarico.
In mezzo stavolta ci sta una casa allagata, con l’acqua che bagna gli scatoloni ancora chiusi in soggiorno, con qualcosa che si può ancora salvare e qualcosa che se ne è ormai andato. E allora, mentre intorno c’è un gran via vai, lo sguardo si posa sulle cose elettroniche, scanner, stampante, videoregistratore chiusi in cartoni semi-inzuppati. Poi si sposta sulla sinistra, su tutti i cd, un mare di cd che stanno lì, bagnati, sul pavimento. Fino ad arrivare vicino alla porta, dove ci sono i libri. Il magone allo stomaco accompagna lo sguardo, variando al variare degli oggetti osservati, scarta tutto quello che si può ricomprare si sofferma sui segnalibri con le scritte a matita che sbucano dalle pagine un po’ arricciate e finalmente si concentra in un’azione, semplice, banale e forse poco sensata. Afferrare una cartellina, bagnata e seminascosta, prendere tutto il contenuto, appiccicato e umidiccio, e spostarlo al sicuro. Chissà come era finita nel trasloco e poi in mezzo a quelle scatole. E adesso diamoci da fare. Uno dopo l’altro gli oggetti vengono spostati in un ordine che si stenta a capire.
Lentamente tutto si svuota e mentre la casa si asciuga, la mia stanza si allaga di pensieri.
Il telefono comincia a lanciare dei bip e io finisco per guardare quella cartellina quasi sciolta, da una parte, e i fogli, ancora leggibili, dall’altra. Quello che vedo sono resti cartacei di un computer collassato tanto tempo fa, quando tutta la vita sembrava racchiusa in una serie di parole digitali. Parole, che in parte sopravvissute e trasformate in carta, poco fa si stavano per disfare nuovamente nella pozza d’acqua di un tubo lasciato aperto. E’ sorprendente. Non l’averle ritrovate e nemmeno l’averle recuperate, istintivamente, ancora una volta, ma soltanto non sentire il bisogno di leggerle.
Mentre accendo la luce vicino al letto, sul mio computer parte lo stesso pezzo con cui mi sono svegliata stamattina.
Lui le scrive una canzone, lei è lontana, ma ci sono treni, aerei, macchine. Come stai, cosa succede a NY, ti senti sola, a volte è dura, ma vedrai un giorno con questa chitarra ci pagherò le bollette, i nostri amici ci prenderanno in giro e noi rideremo con loro, perché loro non si sono mai sentiti così, aspetta e finalmente avremo la vita che sogniamo.
Telefono scarico, letto sfatto, persiana chiusa e luce accesa, esattamente come stamattina.
Quello che c’era da salvare l’avevo già salvato oppure non lo salverò mai più.
Dal mac (rimasto asciutto): Plain White T’s- Hey There Delilah