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Heineken Jammin’ Festival

domenica 17 giugno 2007

Avrei voluto raccontarvi le giornate dell’HJF, il caldo e i colori, le interviste metal e le battute dei ragazzi. Avrei voluto raccontarvi del concerto degli Iron Maiden e degli aerei che volano bassi dietro il palco. Dell’attesa per i Pearl Jam, della mongolfiera e del giro in barca in laguna. E invece. In dieci minuti secchiate d’acqua agitate da un turbine di vento chiudono definitivamente il discorso. E lo chiudono proprio lì, all’inizio delle esibizioni del secondo giorno.
Manca poco all’intervista dei Killers, dai C. allora rivediamo bene cosa chiedergli. Chiusi nello stand di mtv vediamo il vento alzarsi, la pioggia aumentare fino a diventare un muro d’acqua. Cominciano a volare le prime cose. E. M. e A. tentano di mettere in salvo il nostro set prima che luci e strutture cadano addosso a qualcuno. Ma non c’è modo, la tela forma una vela che si tira via tutto quello che prova ad attaccarsi. Il finestrino del camper si stacca e vola.
Se ne va tutto, la mongolfiera, gli ombrelloni, la copertura del bar.
Pochi minuti.
Poi tutto torna normale. Smette completamente di piovere. Non soffia più un alito di vento.
Esco fuori, mi avvio verso il palco con N. e C. Sul ponte che collega il backstage al retropalco c’è un piccolo esercito di sicurezza. Sembrano essere tutti lì, non si capisce se si puo’ passare o no. Non lo sanno mica neanche loro. E noi, mentre decidono, passiamo. Comincio a spaventarmi un po’, pero’. Non correre. N. mi prende per mano e ci avviciniamo. I ragazzi sono tutti sparpagliati, c’è ancora chi grida, chi piange, chi cerca le sue cose. Un via via scomposto e confuso.
Ma ce n’è uno, un ragazzo, che sta fermo. Avrà 18 anni più o meno, muscolosetto, a torso nudo, rosso per il sole. Zaino sulle spalle, una maglietta bagnata in mano. Lui se ne sta lì fermo. E trema. Trema visibilmente. Non sembra avere uno sguardo particolarmente spaventato, non è ferito, non sta cercando nessuno. Se ne sta lì e trema. Come se quel tremore fosse qualcosa di esterno al suo corpo e nemmeno se ne accorgesse. Come se fosse attaccato a qualcosa che semplicemente lo fa vibrare.
Guardiamo verso la collina e vediamo le torri piegate sul prato. Muoviamo lo sguardo da destra a sinistra. Otto torri layer. Tutte giù. Da qui in poi è un tentare di avvicinarsi e un tornare indietro, un provare a capire l’entità della cosa e il non creare intralcio ai soccorsi. Alla fine facciamo retromarcia. Per un attimo perdo gli altri. E ritorno vicino al palco. Mi sento chiamare. S. vieni via di lì? Eh? Vieni via di lì! E poi vedo A. un po’ più in là. Lo raggiungo. Beh? Lui mi indica la struttura di ferro e adesso che siamo di lato si vedono i pezzi inclinati.
Qui potrebbe venire giù tutto. Non stare intorno.
E’ impressionante.
Ma c’è anche chi continua a pensare al concerto dei my chemical romance, chi chiede del meet and greet con i linkin park (C. risponde guardando dritto, nemmeno gira lo sguardo) e chi si preoccupa del braccialetto per andare nell’area vip. Vaffanculo te e la tua area vip.
I ragazzi piano piano vengono fatti allontanare verso la collina e alla fine, in questo parco immenso, rimane solo il backstage con i giornalisti, le radio e le tv. Siamo qui e aspettiamo che qualcuno ci dica qualcosa.
Prima conferenza stampa e non si capisce niente.
Aspettiamo. Telefoniamo. Riprendiamo quello che c’è da girare, ma si fa davvero fatica. Aspettiamo di nuovo.
Il catering funziona ancora e ci troviamo lì a cenare, con colleghi e staff del festival, mentre la luce se ne va e mille pensieri arrivano. Tu immagina se.
Seconda conferenza stampa, brevissima, con Cacciari e poi tutti agli stand. Il festival è annullato.
Sembra che il vento abbia soffiato a una velocità di 150 km orari. Che cosa ci puoi fare.

Sole, caldo, camping, panini, zaini, sorrisi. Magliette metal e ciuffi emo.
E poi, il resto è un ragazzo che trema.

Musica: è finita, si torna a casa.

On The Road

giovedì 14 giugno 2007

Intervista a Vasco a Latina e poi Heineken Jammin Festival a Venezia. ON è appena finito e io non ho neache il tempo di pensare. Tanto meno di parlare, mal di gola infernale e voce che se n’è andata da due giorni. Ci risentiamo tra un po’.

Come complicarsi la vita

lunedì 11 giugno 2007


I-pod: Jeff Buckley- Lilac Wine

L’ultima Casa

domenica 10 giugno 2007

Venerdì 9 giugno. Festa di addio della Casa. Non chiuderà non vi preoccupate. E’ solo che R. la lascia e se ne va in Brasile.
Per salutare, un concerto “segreto” degli Afterhours. Solo amici, più o meno, ma a tutto assomiglia fuorché a un concerto degli After che si prestano a una versione karaoke dei loro pezzi: chi vuole salga sul palco, suoni o canti con noi. E allora dopo un primo momento di imbarazzo, ecco i primi. E via. Si divertono come pazzi. Tra una canzone e l’altra cover “strappacoglioni” come dice Manuel: Neil Young, Jeff Buckley, Radiohead, Lou Reed, Beatles. Sul palco salgono anche Pasquale De Fina, Cesare Basile, Ago e altri.
A. dovrebbe suonare due pezzi ma alla fine non va, non c’è stato tempo di provarli (ma sei bravo, potresti andare lo stesso e lo sai).
Quando Manuel mi da un bacio di saluto non posso fare a meno di pensare che quasi tutti i miei ricordi degli ultimi cinque anni sono in qualche modo legati a loro. Lavoro e vacanze, domande continue e risposte provvisorie, voglia di partire e voglia di tornare, sorrisi e buchi neri.
Di fianco a me c’è G. che rivedo dopo un sacco di tempo e che ho riconosciuto appena uscita dalla metro, tra la gente sparsa nella piazza, con i suoi caratteristici ricci neri. Come sempre, sono io che vedo lei per prima. Adesso da dove cominciamo a riassumere gli ultimi tre mesi di vita?
E poi c’è l’immancabile Tj che stasera però se ne sta lì, davanti al palco, e si sente il rumore dei pensieri che gira veloce veloce sotto un sorriso poco convinto.
Sono le due di notte e gli After ancora suonano, ridono, improvvisano e si inventano pure una cover di Britney Spears.
Beh, Manuel che canta “Hit me baby one more time…” penso che sarà difficile da dimenticare.

Alcohol

mercoledì 6 giugno 2007

Jared Eberhardt è un ragazzo americano cresciuto a Salt Lake City. Un po’ più che un ragazzo, forse, perché ha trentacinque anni.
Questa è la sua storia. Dopo il liceo vorrebbe fare studi di tipo artistico ma i genitori pensano che non gli daranno mai un lavoro e così lui si trova a dover scegliere qualcos’altro. Fin qui, niente di nuovo, lo hanno detto a tutti noi. Ce lo hanno ripetuto. Qualche volta ci hanno quasi convinto. Con quest’aria fritta non mangerai mai.
Jared si iscrive a ingegneria meccanica e nel frattempo si appassiona alla grafica e alla fotografia. Non finisce l’università (arriva all’ultimo anno) pero’ riesce ad ottenere un lavoro come designer alla Burton Snowboard e per dieci anni disegna tavole e gadget di ogni tipo: t-shirt, stivali, vestiti. Realizza anche qualche clip. Poi lo licenziano perché sembra che passi troppo tempo a progettare video invece di oggetti. E lui la prende come una svolta.
Qui c’è il suo lavoro, ha vinto il concorso di Qoob per la realizzazione del clip delle CSS ( Cansei De Ser Sexy… gruppo brasiliano un po’ pop, un po’ rock e un po’ elettronico).
Ci vuole sempre coraggio per provare a diventare come ci eravamo immaginati (ma come ci eravamo immaginati?) e magari qualche porta che si chiude da sola. Anche sbattendo. Perché noi, da soli, non la chiuderemmo mai.

Two Way Monologue

sabato 2 giugno 2007

Venerdì sera. Io e TJ (che poi è sempre Lady J, solo che questo è il suo nuovo nick… lo so fa un po’ vecchio telefilm americano, a metà tra A-Team e Magnum PI ma in qualche modo dovevo abbreviarlo) insomma io e TJ ce ne andiamo alla Casa al concerto di Sondre Lerche.
Stasera vogliamo imbottirci di musica e raccontarci il meno possibile.
Facciamo la fila per entrare. Erano secoli che non ci mettevamo in coda per entrare a un concerto. E’ quasi divertente, non sembra più neanche lontanamente lavoro, qui siamo noi e basta. Tj ha un nuovo taglio di capelli e dimostra cinque anni di meno, io sembro la ragazzina che si è truccata per apparire più grande, ma a volte hai bisogno di sentirti bella.
Entriamo, TJ mi offre da bere, e mi ritrovo in mano un drink che farò fatica a gestire. Ma anche lei è un po’ in difficoltà. Ridiamo. Due ragazzette che si divertono a giocare in un mondo di adulti. Mentre ci avviciniamo al palco ci accorgiamo che siamo circondate di ragazzi. Ma tutti uomini a questo concerto?
Si vede che avremmo voglia di raccontarci un po’ gli ultimi giorni, ma sappiamo che finiremmo nel solito impasse e allora per fortuna il concerto inizia ed è anche meglio di quanto ci aspettassimo.
Indie pop raffinato e divertente, ironico e ammiccante quando serve. E uno come Sondre Lerche non puo’ che starti simpatico. Quando dovrebbe arrivare la love song, io e TJ facciamo solo in tempo a scambiarci un unico sguardo preoccupato perché poi parte un pezzo catchy per niente zuccheroso né banale. Perfetto nella sua semplicità e leggerezza.
Beh, niente tormenti interiori qui, a quanto sembra. niente lato oscuro.
Mi torna in mente l’ultima discussione musicale con E. mentre vedo che anche i pensieri di TJ se ne stanno un po’ andando per i fatti loro.
Al momento non c’è una ragazza con me, dice Sondre dal palco. Spingo TJ, lei ride e insieme ripassiamo il decalogo della fidanzata del musicista. Forse un giorno incontreremo un avvocato o un medico, dimenticheremo chitarrine malinconiche e giri di basso, e mentre lo diciamo si avvicina un tipo e parla per tre minuti buoni. Io non prendo una parola. La musica è alta e a dir la verità non mi impegno neanche troppo. TJ nemmeno e infatti gli chiede di ripetere. Lui riparte, altri tre minuti, fa dei gesti, indica il collo. TJ sorride e lui si rimette al suo posto.
Cosa cavolo ha detto?
Non ho capito niente.
Nemmeno io.
Bene.
Niente finale da telefilm per stasera. Pero’ ci rimane sempre il tuo nick TJ.
Adesso cammina, che la macchina l’abbiamo lasciata lontana.

venerdì 1 giugno 2007

Tornando a casa sotto l’acqua pensavo che è proprio quella la sensazione con cui salto tra un brano e l’altro dell’I-Pod e cammino, considerando che le cose, a volte, vanno esattamente come devono andare. Non è tristezza, davvero. E’ sapore di pioggia.
Lentezza e armonia, certo. Ma c’è poco da fare se non guardare, con il naso all’insù, per strada e poi al sicuro, in camera, con il respiro che si condensa sul vetro.
Mi ricordo che un mio amico, quando c’era qualcosa che non tornava, se ne usciva con una frase che diceva, più o meno, così: si cerca sempre qualcosa dove non lo si dovrebbe cercare ma quel che è peggio è che lo si trova sempre dove non lo si dovrebbe trovare.
Era una delle sue citazioni preferite e forse lo è ancora.
Io le cose cerco di farle tornare ma stasera è soltanto un po’ più difficile.

Sullo stereo: The Notwist- One With The Freaks

26 maggio 2007

domenica 27 maggio 2007

A quanto pare sono sopravvissuta alla giornata di ieri. E questi sono i miei ricordi:

1. La sveglia alle sei del mattino con troppo poco sonno alle spalle.
2. Il trenino che da piccoli, in estate, ci portava dai nonni e poi, da studenti, a preparare gli esami al fresco.
3. Il baretto davanti al municipio di un paesino di montagna e il trattore che ci è passato davanti, come in una vecchia commedia all’italiana.
4. Mio fratello che cerca l’intonazione giusta con cui dire quel si (e gli esce una roba che poteva uscire solo a lui :-).
5. Il mio fantastico undicesimo sorriso alla corrispondente domanda e tu quando ti sposi… (ci vorrebbero gli autori da contratto anche per i matrimoni).
6. Il viso disperato della cameriera, fisso su un piano di torta completamente spiaccicato per terra. E quello di L., sospeso, in attesa di ricadere su un’espressione più definita.
7. Un paio di foto che avrei voluto scattare io, ma acc…. ho sbagliato il fuoco. L’idea non è sempre tutto (bravi N. e J.)

Musica: Muse- Showbiz, tutto l’album, il ritorno è lungo.

Radiocarica

venerdì 25 maggio 2007

Lo so, sarei dovuta stare a casa a mettermi lo smalto sulle unghie e invece ieri sera ho raggiunto Stefano in radio per una puntata estiva della Musicland fuori stagione. Beh, forse neanche tanto, considerando il caldo torrido degli studi e gli strani animaletti che volavano intorno al mio microfono.
Tonnellate di sms, complimenti, addirittura poesie. E’ vero, magari i sei bravissima dopo dieci minuti di diretta da parte di nuovi ascoltatori sono più un adeguamento al codice che una reazione sincera, però, cavoli, fanno piacere lo stesso. Avete ragione, è tempo di stare all’aria aperta, è tempo di stelle, di sogni e di desideri. Peccato che ogni tanto non vi firmiate.
Ecco, adesso posso anche andare a cercare lo smalto.

:-)

mercoledì 23 maggio 2007

Stasera ho guidato in una Milano senza traffico, cucinato una cena che richiedeva più di quindici minuti di tempo, delegato i prossimi due giorni di ON alla redazione.
Ah, ho anche baciato una rana.
Certe giornate girano così.

In volo libero

martedì 22 maggio 2007

Giornata di sole e caldo oggi a Milano. Ma, intorno, è più nebbia che altro.
Sullo stereo: Marlene Kuntz, Nuotando nell’aria
In testa: troppo rumore.

Vecchie Uno e Intercity per Monterosso

domenica 20 maggio 2007

Gli ultimi anni di liceo io e mio fratello avevamo un gruppo di amici in comune. Uscivamo spesso insieme e la sera, in macchina, al ritorno dai locali, mezzi assonnati ma senza tanta voglia di andare a dormire ci divertivamo a immaginare ipotetici futuri, a pensare a come saremmo diventati, dove avremmo vissuto e cosa avremmo fatto. E ovviamente con chi saremmo stati. Una di quelle sere lì abbiamo fatto una specie di fantamatrimonio cercando di ipotizzare chi si sarebbe sposato per primo. Non mi ricordo tutto nei dettagli, ma io ero nelle prime posizioni, mentre mio fratello drasticamente verso le ultime.
Eh già. Perché ovviamente nella mia immagine perfetta e pulita di ragazza carina e educata, che andava bene a scuola e che aspettava l’amore della vita, il matrimonio ci stava proprio.
Mio fratello invece no. Perché lui era quello che ti faceva venire i dubbi, che analizzava i sentimenti, spiegava i meccanismi e ti diceva: funziona in un altro modo ma non ti deve sembrare triste. Puah alle smancerie, alle frasi già troppo sentite e a ogni forma di rito. Lui era quello che non veniva ai pranzi di natale e spariva la domenica di pasqua, si nascondeva dai parenti e progettava fughe dalla chiesa per andarsene in macchina a leggere un libro.
Poi è successo che io me ne sono andata. Avevo 18 anni e mi sembrava la cosa più difficile che avessi mai fatto. I primi giorni avevo nostalgia di casa ogni cinque minuti. Non è proprio la mia vita, pensavo, non ci sono tagliata, non c’è verso. Poi piano piano è andata meglio, ho conosciuto persone, viaggiato, imparato altre lingue, vissuto a Parigi e a New York, trasferita a Milano, poi a Roma, poi di nuovo a Milano.
Mio fratello si sposa tra una settimana.
Il bello è che lui è sempre com’era. E’ vero , ha imparato ad andare alle cene e a mettersi la giacca, ma se gli chiedete di dirvi qualcosa di romantico probabilmente vi parlerà di un treno che si allontana da una stazione o qualcosa del genere. E se gli domandate cosa succederà sabato prossimo vi parlerà di una festa, se volete venire siete i benvenuti, altrimenti non ci rimane male nessuno. Ma non pensate che sia freddezza. E’ andato e tornato dalla Sardegna in una giornata solo per comprare un anello ed è capace di uscire dal lavoro e di saltare sul primo intercity per monterosso solo per sedersi a guardare fuori del finestrino. Poi pero’ torna a casa. Insomma è uno così.
Già.
Sono passati un sacco di anni. La vecchia uno turbo diesel verde acqua esiste ancora. Molti di noi hanno già una famiglia. E io non sono più tornata.

Closer

giovedì 17 maggio 2007

E’ sempre una questione di distanze. Con chi ci sta intorno, con chi incontriamo, con chi non possiamo fare a meno di vedere, con chi abbiamo voglia di sentire. Allunghiamo e accorciamo il filo quasi senza accorgercene. Ci avviciniamo, approfondiamo i rapporti, ci allontaniamo, ci riavviciniamo di nuovo. Continuiamo a stiracchiare quel filo e ogni tanto ci scordiamo che a metà c’è un segno e se ne sta lì per darci l’idea di quanti passi stiamo facendo in una direzione o in un’altra. Ma anche di quanto chi sta dall’altra parte ne faccia verso di noi, lasciandosi conoscere.
Se fossi in radio adesso direi che ogni tanto vorremmo sentire qualcuno più vicino e poi partirebbe Closer e io vi spiegherei che è il nuovo singolo dei Travis e nei pochi secondi di intro vi chiederei di provare a capire dove avete messo quel segno.

I Wish I Could See You Soon

mercoledì 16 maggio 2007

Va da se che le canzoni d’amore sono tristi. Insomma c’è sempre qualcosa che non va. E ci puoi fare poco… Pero’ ogni tanto c’è qualcuno che non se la prende, come gli Herman Dune. Lei ti aspetterà? Boh. Non c’è niente da dire e niente che possa fare adesso, pero’ io ritornerò (ehhh dicono tutti così) perché ora ho qualcosa che mi manca.
Potrebbe essere un pezzo super lacrimoso e immerso nella melassa e invece mette quasi di buon umore.
O almeno con me funziona… Chi mi porta a Rockaway Beach stasera?